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mercoledì 18 gennaio 2017

TENTAZIONI DI HARD BREXIT


da http://www.senzasoste.it/tentazioni-hard-brexit-trump-prova-spaccare-leuropa/

La Germania, nelle attuali intenzioni di Trump, deve essere infatti messa in difficoltà come la Cina, creditori degli Usa, in modo da spostare i rapporti di forza a favore di Washington nei confronti di entrambi i paesi


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Il mandato presidenziale di Donald Trump non è ancora cominciato e già si vedono all’orizzonte alcune questioni controverse. Certo, si tratterà di capire quanto, in Trump, alle intenzioni corrisponderanno i fatti, cosa sempre più difficile nella complessità della politica internazionale attuale. E questo specie quando un presidente, seppur eletto nella pienezza dei poteri, deve fare i conti con la stessa spaccatura presente nel partito dal quale è emerso come candidato. Mettendo tutto tra parentesi, al momento, rispetto all’Europa, le intenzioni di Trump appaiono piuttosto chiare: favorire la Brexit, spaccare l’Europa, mettere in difficoltà uno dei principali detentori di debito pubblico americano, la Germania.
Berlino, nelle attuali intenzioni della nuova amministrazione, deve essere infatti messa in difficoltà come Pechino, creditore ancora più grande degli Usa, in modo da spostare i rapporti di forza a favore di Washington nei confronti di entrambi i paesi.  Ma anche, almeno nelle intenzioni fin qui manifestate, in modo da far trarre profitto alla propria base produttiva in questi spostamenti di rapporti di forza.  Nello scenario europeo, la possibilità di indebolire la Germania passa attraverso un processo di Brexit che sia svantaggioso per Berlino.
Si tratta di intenzioni realistiche? In ogni caso Trump ha detto alla stampa britannica che, una volta entrato pienamente in carica, proporrà alla Gran Bretagna un patto bilaterale. Patto le cui clausole sono, al momento, tutte da capire mentre è chiara la direzione che il nuovo presidente Usa vuol favorire: una hard Brexit che metta in discussione le basi materiali dell’Unione Europea.
Cosa significa hard Brexit? Se realizzabile davvero, le incognite in questo processo ci sono anche per i più accaniti addetti ai lavori, questa è possibile in due direzioni: la prima è quella di trasformare la Gran Bretagna nello stato più libero dalle tasse in Europa. Una sorta di Irlanda più grande, persino più aggressiva nei livelli bassi di tassazione offerta alle imprese, con l’aggiunta di servizi finanziari complessi e parchi tecnologici ben superiori a quelli di Dublino. Un paese dove le tasse sono minime, la sponda per l’evasione fiscale massima (facendo concorrenza al Lussemburgo che, guarda caso,  esprime il commissario Ue)  e il lavoro ha diritti che stanno sotto ai già aleatori standard precedenti. Con una immigrazione “selettiva” s’intende. E una sterlina che va verso il basso, in grado di lavorare sulla competizione internazionale delle merci inglesi.
L’altra direzione, quella di una hard Brexit, è quella di mantenere il primato della borsa di Londra, motore di metà del Pil britannico, egemone in Europa. Ci sono diversi analisti che sostengono come la borsa di Londra sia ancora all’avanguardia nella capacità di attirare e regolare i capitali che affluiscono sulla propria piazza. Capacità non raggiungibile, nel medio periodo, né da Parigi né da Francoforte.
Insomma, la nuova amministrazione americana proverà, poi vedremo i risultati, a forzare, insistendo nell’alleanza con la Gran Bretagna, la base materiale dell’unione europea. Del resto il consenso alle frasi di Trump, quelle sull’Europa come strumento utile soprattutto alla Germania, va oltre la composita area populista.
Le conseguenze per l’Italia? Si consideri, come è naturale, che oltre il 56% delle esportazioni italiane, statistiche Mise, è in Europa (tra paesi Ue e non Ue) e che circa il 10%, sempre per le stesse statistiche, è in America settentrionale. Si tratterebbe quindi di un eventuale, potenziale mutazione in grado di influire sulla struttura delle esportazioni, e quindi sulla spina dorsale dell’economia italiana.
Senza entrare nel dettaglio si intuisce quindi che le frizioni tra Usa, Uk e Ue ci riguardano da vicino. Come il progetto di riforma della tassazione delle imprese presentato per la camera di Washington dai repubblicani. Se approvato, come giustamente rileva Seminerio sul Fatto Quotidiano, si tratterebbe di una scossa tellurica non indifferente per gli Usa e, a cascata, sull’economia globale. Si tratta di una riforma della tassazione, quando si dice mai sottovalutare le politiche fiscali, che nelle intenzioni favorirebbe l’esportazione delle imprese americane colpendo le importazioni. L’intenzione, esplicita, è quella di creare valore negli Usa rimettendo in discussione la catena internazionale dei fornitori delle aziende americane. Favorendo la creazione interna di fornitori. Le conseguenze, per fermarsi a settori più noti, sul mercato dell’auto, sul prezzo del petrolio e sulla catena della grande distribuzione possono essere notevoli. Ma non solo in patria, visto che gli altri paesi sarebbero giocoforza costretti ad adeguarsi alla nuova situazione.
La Brexit, nelle intenzioni di Trump, dovrebbe stare dal lato vincente di questi processi e la Germania trovare un processo di ridimensionamento. Questo nelle intenzioni dei promotori di queste politiche che, tra l’altro, sono in concorrenza tra loro. Tra Paul Ryan, promotore di questa legge alla Camera, e Trump la rappresentanza sociale è differente, ci sono giochi politici (il progetto di riforma della tassazione potrebbe entrare in conflitto con l’idea di dazi di Trump). Il punto è che Trump e Brexit, i grandi eventi del 2016, cominciano adesso a far capire se sono fenomeni pieni di intenzioni, abbozzi di politiche ma inefficaci in pratica. Oppure se rappresentano, magari confusamente, qualcosa in grado di incidere sulla base materiale dell’economia globale. Inutile dire che, in ogni caso, in Italia, a differenza di altri paesi, siamo fuori centro rispetto alla discussione su queste dinamiche.Cosa accadrà semplicemente lo vedremo arrivare sui nostri territori.

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